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http://www.darsipace.it/2010/06/14/lesperienza-mistica-una-risposta-alla-crisi/

 

L’esperienza mistica: una risposta alla crisi 

 

Postato il 14 giugno 2010 Scritto da Massimo Diana

«Nel mondo moderno – scrive Raimon Panikkar – solo i mistici sopravviveranno. Gli altri saranno soffocati dal sistema, se vi si ribellano; o affogheranno nel sistema, se vi si rifugiano» (Vita e parola. La mia Opera, Jaca Book, 2010, p. 38). Una affermazione molto forte e paradossale, che mi ha spinto a riflettere… Che significa che solo il mistico sopravviverà? Chi è il mistico e cosa è la mistica?

 

Non possiamo infatti nasconderci i tanti fraintendimenti ed equivoci a cui questa parola ha condotto e tuttora conduce. Troppo spesso la mistica è stata descritta come una sorta di esperienza elitaria, indifferente alle sofferenze umane, lontana dalle situazioni concrete in cui vivono la maggior parte degli uomini, nostri fratelli, e i mistici come una élite al riparo nelle sfere celesti.

 

Ma non è questa la mistica che intende Panikkar. Dal suo punto di vista la mistica non è null’altro che l‘esperienza integrale della vita e il mistico è colui che è aperto alla vita nella sua totalità.

Il mistico autentico “non si lancia nell’attivismo né si dispera, ma non si tura nemmeno le orecchie né lascia inerti le mani; sa che l’acqua si apre il cammino dove non v’è alveo e che esistono fiumi sotterranei che dissetano e fertilizzano la terra […]

La mistica del nostro tempo, come visione piena della realtà, è profondamente sensibile al dolore del mondo, specialmente alla sofferenza data per mano dell’uomo e alle ingiustizie umane. Ciò non fa del mistico un «attivista politico» nel senso corrente della parola. Egli […] non perde la pace né l’equanimità: sa però sporcarsi le mani se è necessario […] La fame e la sete di giustizia sono caratteristiche dello spirito mistico” (Mistica, pienezza di Vita, Opera Omnia, vol. 1, tomo 1, pp. 262-263, Jaca Book).

 

Il mistico è dunque colui che ha guadagnato quell’atteggiamento che non gli permette di cadere nella disperazione e gli consente di mantenere un sorriso sincero, anche se in un mondo lacerato dalle sofferenze. “Il vero mistico non si lascia condizionare da circostanza alcuna, non è schiavo del mondo esterno, non butta in tragedia alcuna calamità, non ontologizza alcuna legge e quindi agisce e vive in piena libertà […] Il mistico si coinvolge in tutti i problemi umani senza ontologizzarli e mostra così un’indipendenza sovrana nei confronti di tutti gli eventi umani e di tutti gli ordinamenti giuridici; non si sente vincolato a nulla, è libero” (p. 266).

Una posizione ambi-valente: coinvolto e incarnato, ma non soffocato e disperato. Un uomo genuinamente libero, ma di una libertà che non è fuga dal mondo o superbo e altezzoso disprezzo per la vita nella sua crudezza e fatica. Una libertà che, evidentemente, può essere alquanto pericolosa, anzitutto per se stessi, nella misura in cui può degenerare in insensibilità e libertinaggio.

 

Corruptio optimi pessima” – la corruzione del migliore è la peggiore, scriveva Gerolamo, facendo eco a San Paolo: chi si vanta di stare saldo in alto, stia attento a non precipitare! Una libertà che viene percepita come insidia e pericolo anche dalla società e dalle sue istituzioni, perché un tale individuo non sarà mai facilmente governabile: “il mistico soffre per l’ingiustizia e cerca di porvi riparo, ma non si dispera, dato che non la ontologizza; si coinvolge nelle faccende umane con serietà ma con serenità, quasi giocando […] Il mistico non perde la pace, non spera in un’altra vita, ma spera in essa; vive, cioè, la Vita” (p. 266). Viene alla mente la figura del fanciullo, icona dell’Űbermensch, così come venne raffigurata da Nietzsche…

 

Possiamo dunque intendere per mistica come la capacità di vivere una esperienza integrale della vita. In questo modo riusciamo a comprendere in che senso allora solo il mistico può sopravvivere alla crisi dei nostri tempi. Solo il mistico, infatti, è capace di cogliere il vero problema della modernità: l’interdipendenza necessaria tra macro e microcosmo, tra culture e religioni, tra politica, economia, ambiente, etica, una interdipendenza anche materiale, e di pensarla altrimenti, di risimbolizzarla in modo nuovo, per tutti noi. Il mistico, uomo planetario, simbolo di una nuova umanità, vibra di speranza. Perché è una cosa buona stare al mondo!

 

Ma di quale speranza parliamo? Ed ecco un’altra emblematica affermazione di Panikkar: «La speranza non appartiene al futuro; appartiene all’Invisibile» (Vita e parola. La mia Opera, p. 39). Una straordinaria intuizione: sperare non significa proiettarsi in un futuro ipotetico, ma saper cogliere l’Invisibile nel presente visibile. È scoprire un’altra dimensione dentro e oltre la concreta realtà del (triste) presente. Una apertura a quell’altra dimensione che non viene colta né dalla nostra sensibilità né dalla nostra intelligenza, ma che esige il ricorso a quel terzo occhio che solo è in grado di coglierla, e che corrisponde ad una vera e propria resurrezione.

Solo aprendoci all’invisibile è possibile una esperienza della vita umana che non elimina o nega la sofferenza, ma che neppure si lascia andare alla disperazione di una vita fallita o vissuta invano.

 

La mistica vera è dunque strettamente inserita nella quotidianità, nel secolare. Il mistico è incarnato in questo mondo, è talmente radicato in questa vita che non separa la propria esistenza in questa “valle di lacrime” da quello che è “l’altro mondo” a cui anela.

Vengono alla mente le altrettanto forti parole di Jung: “Mi sembra che faccia la volontà di Dio soltanto colui che cerca di realizzare la sua natura umana e non colui che fugge davanti a questo fatto scandaloso che è l’«uomo», ritornando al Padre anzitempo, o addirittura non lasciando mai la casa del Padre. Mi sembra che l’Incarnazione sia questo desiderio in noi […] Finché rimango vicino al Padre, gli rifiuto l’uomo nel quale egli potrebbe integrarsi; e in quale miglior maniera posso aiutarlo se non integrando me stesso? […] E’ palese che Dio ha predestinato come suoi figli non coloro che hanno continuato a dipendere da Lui in quanto Padre, ma coloro che hanno trovato il coraggio di reggersi in piedi da soli […] Quanto mi abbia ferito la conoscenza di Dio, e quanto avrei preferito rimanere, come un bambino, sotto la protezione paterna, evitando la problematica degli opposti […] Ogni sviluppo e mutamento verso il bene è doloroso” (C.G. Jung, vol. XI, Opere, pp. 454-455).

 

Il mistico, dunque, come l’uomo totalmente incarnato, ma assolutamente non toccato da quella disperazione che si esplica sia nella rassegnazione, sia in un attivismo esasperato.

La mistica, come esperienza integrale della vita, presuppone e spinge verso una com-posizione degli opposti, dove i contrari (spirito e materia, corpo e anima, mente e cuore, logos e mythos, sentimento e ragione, maschile e femminile, conoscenza e amore…) sono riconosciuti e tenuti insieme, in armonia. Gli opposti non sono né forzatamente negati, né forzatamente ricondotti ad unità; gli opposti sono mantenuti tali, ma armonizzati: ecco il mysterium coniunctionis.

 

Una tale conoscenza/esperienza di tutta la realtà, ma a partire da una prospettiva concreta e limitata, quella della nostra unica e irripetibile contingenza, non può che essere conoscenza partecipativa, cioè amore. Un amore che è il compagno naturale della conoscenza.

Il divorzio mortale che è alla base della crisi del nostro tempo, scrive ancora Panikkar, è il divorzio tra conoscenza e amore. Quando la mistica parla di conoscenza si riferisce a una conoscenza amorosa, e quando canta l’amore rimanda a un amore conoscente. “Si tratta di quella esperienza che conosce amando e che amando conosce. E questo non è il circolo vizioso della logica, ma il circolo vitale della realtà” (Mistica, pienezza di vita, p. 209).

 

Ricomporre questi opposti richiede ed esige una purificazione del cuore, il guadagno di una nuova innocenza, l’apertura del terzo occhio. In una parola: richiede ascesi. Ma attenzione, se una qualsiasi pratica ascetica non è volta ad infiammare l’amore e a consentire il guadagno di una più vera libertà, è doppiamente controproducente perché inaridisce il cuore e insuperbisce la mente.

“L’uomo è abitato, attraversato preferirei dire, da una duplice forza: da un dinamismo centrifugo che lo proietta verso l’esterno attratto dalla Bellezza che brilla dal di fuori, e da un dinamismo centripeto che lo spinge verso l’interno, aspirato dalla Verità che deve scoprire in se stesso. Lasciarsi trasportare solamente dal primo impulso è frivolezza, se non addirittura concupiscenza, e solamente dal secondo è egoismo se non addirittura superbia.

 

La saggezza è l’armonia tra l’attrazione della Bellezza e l’aspirazione alla Verità” (p. 213). Meglio ancora, si dovrebbe parlare di un unico dinamismo – il dinamismo dell’amore – che ha un duplice movimento, centripeto e centrifugo.

“C’è una certa saggezza […] nella parola onnicomprensiva «amore», come sintesi della tendenza costitutiva dell’essere umano e, ancor più, di tutta la realtà: il dinamismo centrifugo che spinge ogni essere verso l’altro, la trascendenza, il differente, l’esterno, lo sconosciuto – l’alter come altera pars che ci completa.

Tutta la realtà è attraversata da questo dinamismo verso la Pienezza” (p. 214). Ancora un equilibrio, una armonia, tra introversione ed estroversione, tra intimismo e attivismo, tra la parte Marta e la parte Maria che ci costituiscono.

 

In questa prospettiva, il cammino della mistica è tutto racchiuso nel consiglio della Sibilla: “gnōthi sauton” – conosci te stesso!, dove però conoscere se stessi è anche abbracciare tutta la realtà («Chi conosce se stesso conosce il suo Signore» – dice un hadīth del Profeta; «Chi conosce se stesso conosce tutte le cose» – ripete Meister Eckhart); una conoscenza (gnōsis) che è sempre anche piena di eros, di sentimento, e che abbraccia l’intero macrocosmo.

E la risposta della mistica al “gnōthi sauton” – conosci te stesso! è altrettanto semplice: “autos isthi” – sii te stesso!, un consiglio semplice ma alquanto difficile da mettere in pratica. Si tratta, in una parola, di “vivere la Vita”, in una prospettiva di apertura tanto al mondo interiore quanto a quello esteriore, “alla coltivazione della politica come a quella dello spirito, alla preoccupazione per gli altri tanto quanto per se stessi” (p. 261).

 

Questo è anche il senso ultimo della religione: “Una religione senza mistica si riduce a una ideologia più o meno convincente o a una istituzione più o meno utile, abdicando al suo ruolo che è quello di ispirare un cammino personale di liberazione […]

La religione è ciò che ci unisce (religat) alla realtà nei suoi molteplici aspetti […] La religione unisce il mio spirito con la mia anima e la mia anima con il mio corpo; mi unisce anche ai miei simili e con il mondo intero; mi unisce anche con lo Spirito, il Mistero, lo si chiami divino o con qualunque altro equivalente omeomorfico” (pp. 269-270).

E’ la vitale consapevolezza di questa interconnessione, ciò che ci rende veramente liberi: «la verità vi farà liberi». La coscienza della nostra re-ligazione, della nostra appartenenza al tutto, infatti, non ci lega, non ci vincola, ma anzi ci dis-lega, ci libera. Per vivere, servire, amare.

Ecco la sfida che la mistica, rettamente intesa, costituisce per il nostro tempo di crisi.

Massimo Diana

 

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  • : RIABILITAZIONE POST MORTEM DI PADRE GINO BURRESI
  • : Riabilitazione post mortem di Padre Gino Burresi Firma la Petizione https://petizionepubblica.it/pview.aspx?pi=IT85976 Giò 04/02/2011 14:27 "Sono dentro, donna o uomo che vive li nel seno di questa chiesa. Da me amata, desiderata e capita... Sono dentro. Mi manca aria, Aspetto l'alba, Vedo tramonto. La chiesa dei cardinali madri per gioielli, matrigne per l'amore. Ho inciampato e la chiesa non mi sta raccogliendo. Solitudine a me dona, a lei che avevo chiesto Maternità. E l'anima mia, Povera, Riconosce lo sbaglio di aver scelto il dentro e, Vorrei uscire ma dentro dovrò stare, per la madre che non accetta, Il bene del vero che ho scoperto per l'anima mia. Chiesa, Antica e poco nuova, Barca in alto mare, Getta le reti Su chi ti chiede maternità. Madre o matrigna, per me oggi barca in alto mare che teme solo di Affondare! Matrigna." Commento n°1 inviato da Giò il 2/04/2011 alle 14h27sul post: http://nelsegnodizarri.over-blog.org/article-la-chiesa-di-oggi-ci-e-madre-o-matrigna-67251291
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