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14 gennaio 2014 2 14 /01 /gennaio /2014 22:39

 

CERCASI AMORE PER PADRE GINO BURRESI

 

Commenti

Una domanda vorrei porre al Buon Samaritano che si è fermato a curarsi di noi.Pensi che io abbia sbagliato quando a gennaio del 2012 ho creato la petizione per la riabilitazione di Padre Gino Burresi ? Forse che ne devo creare un'altra da rivolgere a Papa Francesco ? Oppure sono cose che non spetta a me fare ? E perché tanti non l'hanno firmata ? Intendo i servi del cuore immacolato di maria,i confratelli e le consorelle di Padre Gino Burresi ed i consacrati della famiglia del cuore immacolato di maria. E' loro forse vietato di esprimersi attraverso la partecipazione a questa forma di democrazia ? Il Vaticano è una monarchia assoluta anche con Papa Bergoglio ?
Forse che tutto accade come nelle caserme, dove si deve procedere per via gerarchica e non vi è libertà di opinione ?
Come può la cosiddetta rivelazione cristiana imporre la sudditanza del cuore ? Il cuore si vela o si rivela ?
O c'è la paura di rivelare le proprie generalità perché si temono ripercussioni o provvedimenti disciplinari dal Vaticano?
Ma Gesù ci ha insegnato forse a nasconderci ?
Quanti sono pronti oggi al martirio ?
Riccardo Fontana
Commento n°4 inviato da RICCARDO il 30/12/2013 alle 05h06
Eccomi a rispondere pur se con un piccolo ritardo causato da mio fuori sede. Premesso che NON hai errato nel gennaio 2012 a proporre una petizione riabilitativa di padre Gino Burresi, mi sia consentito fare delle puntualizzazioni in merito, nel gennaio 2012 Papa Benedetto XVI° era in precarie condizioni di salute a causa delle quali ha subito alcuni ricoveri per accertamenti diagnostici all'Ospedale P.Genelli di Roma il che mi fa supporre che non abbia avuto l'opportunità pratica di venire a conoscenza della tua petizione, (dico questo anche perchè sono a conoscenza dei seri motivi di salute che ne hanno consigliato le dimissioni) e ciò mi fa ritenere cosa buona l'idea di rivolgere una petizione ex-novo a Papa Francesco.
Non spetta noi scrutare nell'animo di coloro che non l'hanno voluta firmare, come pure non spetta a noi giudicare il passato di un nostro Fratello in Cristo ma al contrario è nostro dovere di cristiani adoperarci affinchè qualsiasi fratello passato attraverso la teologia del pentimento dal peccato possa trovare la strada diretta che lo conduca alla resurrezione personale e torni a vivere nel mistero della fede in attesa di nuovi cieli e nuova terra restaurata sotto il regno di Cristo Re ! Pace e Bene ...
Commento n°5 inviato da ILBUONSAMARITANO oggi alle 21h15
Cortese Buon Samaritano, ho pensato male di Te....credevo Tu non mi rispondessi per la mia domanda troppo ingenua da apparire insidiosa. Ed invece mi hai spiazzato e con grande felicità ti trovo ancora dalla mia parte. Che Tu sia beato per avere creduto alla mia sincerità, quando ti dico che Padre Gino Burresi mi ha scelto come canale per far conoscere al mondo la sua sofferenza per essere considerato un lebbroso da emarginare. Io mi sono avvicinato a lui ed è stato così commovente per me ricevere in cambio il suo grazie per essergli stato vicino e avergli fatto posare il suo capo sul mio cuore materno. O Buon Samaritano, non ho atteso la tua risposta ed ho creato una nuova petizione rivolta a Papa Francesco, ponendo al suo centro proprio il messaggio di Gì(n)ò, memore delle tue parole di incoraggiamento a custodire tale messaggio nel mio blog come consolazione per le persone ammalate di sofferenza morale o di disperazione.
Non ho saputo scrivere di meglio. Qualche notte fa ho sognato che mi volevano mandare a fare l'interprete a Sassari per una riunione in lingua inglese. Non ho voluto andarci, perché io conosco il tedesco e non l'inglese. Ma sono soprattutto l'interprete di Padre Gino, come quando a San Vittorino gli chiesi se gli serviva un interprete di tedesco e lui mi rispose " perché no ? " e mi disse che me lo avrebbe detto lui quando. Eccomi Padre Gino, mi hai chiamato tre anni orsono, quando mi hai scritto quel messaggio ed allora ero ancora fermamente credente in Dio. Ed ora che non lo sono più così tanto, resto comunque ancora al tuo fianco e chiedo per te a Papa Francesco di riabilitarti, perché non voglio più vederti soffrire.
Riccardo Fontana
Commento n°6 inviato da RICCARDO Oggi alle 22h36
 
 
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12 gennaio 2014 7 12 /01 /gennaio /2014 03:42

 

 

 

 

 

  

 

 

http://absolutepoetry.org/IMG/pdf/Perlaparola_per_canGura.pdf

 

 

 

nevicata photo: Nevicata ngqe4j.gif 

 

 

 

 

ASCOLTAMI INVERNO

Ascoltami
inverno
non sognarti di entrare
Mi piaci sui rami
sdraiato nel cielo
disteso sul mare
seduto nel prato ma
ascoltami inverno
non ti voglio qui dentro

Se bussi sui vetri
ti soffio sul naso
Se suoni alla porta
non ti aprirò
Ascoltami inverno
non ti voglio qui dentro

Però aspettami fuori
Non andare lontano
Adesso esco io
Possiamo giocare
Mi piace trovarti
sull'uscio di casa
sentir sulla faccia
le tue dita gelate ma
ascoltami inverno
non ti voglio qui dentro.
Qui dentro è il cuore

GIUSI QUARENGHI, E sulle case il cielo, Topipittori
 

  

     

  

 Sergio Cammariere - APRI LA PORTA (live) - YouTube

 
 
Nov 25, 2010 - Uploaded by sergiosituescion
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8 gennaio 2014 3 08 /01 /gennaio /2014 20:15

 

 

 

 

http://www.orsolinescm.it/pagina.asp?quale=191 

 

 

 

Vivere la croce come un dare alla luce

 

 

 

 

C’è un aneddoto della vita pastorale di don Tonino Bello che è particolarmente significativo in

questo tempo dell’anno liturgico. Egli amava raccontare di quando, nel vecchio duomo di Molfetta, aveva visto un crocifisso di terracotta donato qualche anno prima alla chiesa da uno scultore del luogo. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l’aveva addossato alla parete di un locale della sacrestia e vi aveva apposto un cartoncino con la scritta “collocazione provvisoria”. Don Tonino aveva voluto che rimanesse così, sulla parete nuda, in quella posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito: trovava che “collocazione provvisoria” fosse la formula migliore per definire la croce, quella di Gesù e quella di tutti gli uomini, alla luce di quella del Cristo.

Anche il Vangelo c’invita a considerare la provvisorietà della croce quando ci dice “da mezzogiorno alle tre si fece buio su tutta la terra (Mt 27,45): ci sono dei paletti d’orario, c’è un limite di tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra.

Abbiamo bisogno di riconciliarci con la croce e, al contempo, di rimanere fedeli ad essa. Essere fedeli alla croce di Gesù Cristo significa anche vedere in essa lo strumento della salvezza ed intuire che la redenzione è vicina: sulla croce non si rimane per sempre. Su tutti i calvari personali, in tante nazioni dove i popoli soffrono, è possibile vedere, nonostante mille ambiguità, alcuni segnali della Pasqua, se solo il nostro sguardo si colloca dal punto di vista di Dio.

Il problema non è forse la croce in quanto tale, ma l’interpretazione, spesso inadeguata, che ne diamo, il nostro fissare la mente e il cuore sulla morte e sulla violenza. Come donne, proprio perché siamo state presenze fedeli delle realtà della morte e della risurrezione di Cristo, dobbiamo re-immaginare la croce come la possibilità di un “dare alla luce” creativo prendendo ad immagine la risurrezione; per le donne la croce deve restare un simbolo paradossale di vita, le sofferenze del mondo diventare non i segni dell’agonia, ma i travagli del parto.

Come non pensare al Signore crocifisso che mentre tutto è compiuto (Gv 19,30) inonda d’amore chi è sotto il patibolo donando a una madre il figlio e al figlio una madre, per sempre?

“Non provo mai amarezza per quello che veniva fatto loro, sempre invece amore per come gli uomini fossero capaci di sopportare il dolore… credo di diventare ogni giorno più temprata, ma indurita non lo sarò mai” (Etty Hillesum, Diario).

Un segno per discernere se siamo o meno sotto la croce giusta ��" quella del Signore Gesù ��" sarà proprio questa assenza in noi di amarezza, questa capacità di non lasciarci indurire e scandalizzare dal dolore, di saper assumere la sofferenza, quando tutto diventa buio e incomprensibile, fino in fondo, ma senza disperazione, mantenendo la consapevolezza che, se per noi credenti il crocifisso rimane l’angolo prospettico da cui giudicare la storia, è necessario imparare a riconoscere che ogni storia “crocifissa” è già impregnata di risurrezione.

Di fronte alla morte, alle croci della storia, le donne non girano gli occhi per non vedere, ma sanno “osservare come era stato deposto il corpo di Gesù (Lc 23,55). Lo fanno insieme, profondamente solidali: non si abbandonano e non abbandonano. Rimangono finché, umanamente, può esserci una vicinanza.

Poi dal Golgota “tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati (Lc 23,56). Dal golgota si ritorna a casa, alla quotidianità, al tempo silenzioso e di attesa che è necessario imparare ad abitare; un tempo dove le cose avvengono secondo un ritmo più profondo che ci si deve esercitare ad ascoltare. Non è un tempo passivo perché le donne “preparano” con gesti di tenerezza che impediscono al dolore di indurire il cuore, che fanno emergere forze interiori, spazi dell’anima dove ��" malgrado tutto ��" Dio possa rimanere vivo e al sicuro, fra le mani.

Nella tradizione biblica i profumi indicano qualcosa di prezioso e il gesto di ungere è un gesto di cura e di guarigione. Preparare profumi ha una dimensione mistica, spirituale, ma è anche una forza politica, profetica, dentro la storia. I profumi dicono che si sta celebrando un rituale di amore e bellezza che diventa riscatto a livello storico.

Nel silenzio, nella profonda solitudine di un’assenza, nell’intimità segnata dalla sofferenza, irrompe la logica dei profumi, la “resistenza” attuata con gesti che sembrano inutili - “chi sposterà loro la pietra che chiude la tomba di Gesù per poter ungere il corpo”? (Mc 16,3) - ma che sono invece quelli che non permettono alla morte di avere l’ultima parola, che riflettono un “lavorare la speranza” per praticare la risurrezione.

Quando arrivano là, nelle prime ore del giorno dopo, all’alba (Mc 16,2), non trovano il corpo; le donne cercano Gesù tra i morti, ma viene loro detto che la tomba è vuota. La tomba vuota non significa assenza, prende sul serio la sofferenza e la morte, ma le fa andare “oltre”. La tomba vuota annuncia la presenza del Risorto, un annuncio che esige il fare memoria (cfr Lc 24,6), ma che non permette di voltarsi indietro, anzi orienta e spinge verso il futuro. La tomba vuota è uno spazio di risurrezione, una strada aperta: Gesù, il Vivente, cammina davanti a noi; può essere “trovato” soltanto quando facciamo l’esperienza che egli ci precede e che apre per noi un futuro, la possibilità di “creare senso” di fronte alla disumanizzazione, al dolore e alla morte.

“Se noi abbandoniamo al loro destino i duri fatti che dobbiamo irrevocabilmente affrontare, se non li ospitiamo nelle nostre teste e nei nostri cuori per farli decantare e divenire fattori di crescita e di comprensione, allora non siamo una generazione vitale” (Etty Hillesum, Diario). 

Donatella Mottin

 

 

 

 
 
Apr 11, 2012 - Uploaded by ninin2323
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8 gennaio 2014 3 08 /01 /gennaio /2014 05:29

 

 

 

 

http://chivivefarumore.tumblr.com/

 

 

 

 

 

 La più consistente scoperta che ho fatto è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare.

 

 

La grande bellezza

 

 

 Un violinista in metropolitana

 

Un uomo si mise a sedere in una stazione della metro a Washington DC ed iniziò a suonare il violino; era un freddo mattino di gennaio.
Suonò sei pezzi di Bach per circa 45 minuti.

Durante questo tempo, poiché era l’ora di punta, era stato calcolato che migliaia di persone sarebbero passate per la stazione, molte delle quali sulla strada per andare al lavoro.
Passarono 3 minuti ed un uomo di mezza età notò che c’era un musicista che suonava.
Rallentò il passo e si fermò per alcuni secondi e poi si affrettò per non essere in ritardo sulla tabella di marcia.

Alcuni minuti dopo, il violinista ricevette il primo dollaro di mancia: una donna tirò il denaro nella cassettina e senza neanche fermarsi continuò a camminare.
Pochi minuti dopo, qualcuno si appoggiò al muro per ascoltarlo, ma l’uomo guardò l’orologio e ricominciò a camminare.

Quello che prestò maggior attenzione fu un bambino di 3 anni. Sua madre lo tirava, ma il ragazzino si fermò a guardare il violinista. Finalmente la madre lo tirò con decisione ed il bambino continuò a camminare girando la testa tutto il tempo.
Questo comportamento fu ripetuto da diversi altri bambini. Tutti i genitori, senza eccezione, li forzarono a muoversi.

Nei 45 minuti in cui il musicista suonò, solo 6 persone si fermarono e rimasero un momento.
Circa 20 gli diedero dei soldi, ma continuarono a camminare normalmente.
Raccolse 32 dollari.

 

Quando finì di suonare e tornò il silenzio, nessuno se ne accorse. Nessuno applaudì, nè ci fu alcun riconoscimento.

 

Nessuno lo sapeva ma il violinista era Joshua Bell, uno dei più grandi musicisti al mondo.
Suonò uno dei pezzi più complessi mai scritti, con un violino del valore di 3,5 milioni di dollari.
Due giorni prima che suonasse nella metro, Joshua Bell fece il tutto esaurito al teatro di Boston e i posti costavano una media di 100 dollari.

 

L’esecuzione di Joshua Bell in incognito nella stazione della metro fu organizzata dal quotidiano Washington Post come parte di un esperimento sociale sulla percezione, il gusto e le priorità delle persone. La domanda era: “In un ambiente comune ad un’ora inappropriata: percepiamo la bellezza? Ci fermiamo ad apprezzarla? Riconosciamo il talento in un contesto inaspettato?”.

 

Ecco una domanda su cui riflettere: “Se non abbiamo un momento per fermarci ed ascoltare uno dei migliori musicisti al mondo suonare la miglior musica mai scritta, quante altre cose ci stiamo perdendo?”

 

Maria Grazia Gualtieri

 

 
 
 
 
Jan 30, 2009 - Uploaded by Clemente Condello

 

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6 gennaio 2014 1 06 /01 /gennaio /2014 08:17

 

 
 
Monday 6 january 2014 1 06 /01 /Gen /2014 06:41

 


 

 

Miei adorati lettori, sì adorati, rivolto  anche a chi mi vuole male e gli dà tanto fastidio che io continui a perorare la causa di Padre Gino  Burresi. Pensate che io non  abbia i miei problemi? E come se ne ho.

Eppure questi non mi distolgono dal pensare a lui come a una persona di cui avere pietà.

Quando si andava da Padre Gino a San Vittorino, non volevamo forse che lui intercedesse per noi presso la Vergine Maria, perché Ella avesse pietà di noi?

E Padre Gino ci sembrava sempre un palmo più alto di noi e proprio per questo il miglior deputato a presentare le nostre richieste al Cielo, perché venissero esaudite.

Anche gli undici seminaristi che lo hanno accusato furono attratti da lui e ne accorrevano di giovani e di meno giovani da tutto il mondo. Non è forse vero?

Lo sbaglio dei seminaristi, che è stato in fondo anche il nostro sbaglio, è quello di avere attribuito a Padre Gino troppa santità, senza pensare che egli è un uomo come noi, che cade, sbaglia e si rialza, semprechè qualcuno lo aiuti a rialzarsi.

Don Roberto Soprano, che fu anche lui seminarista esterno a San Vittorino e che ora lavora al Vaticano, quando lo incontravo a San Vittorino, perché la sua famiglia era di lì, mi diceva che Padre Gino non era sempre ispirato.

E cosa pensare allora di Giuda, il cosiddetto traditore di Gesù ? Anch'egli si scandalizzò, quando vide Giovanni posare il suo capo sul petto di Gesù e  lo consegnò ai Giudei.

Padre Gino Burresi fu consegnato dai seminaristi ai superiori degli Oblati della Vergine Maria per aver visto che cosa ?

Un bacio, un contatto tra due corpi ?

Sicuramente Padre Gino Burresi è inciampato, me lo scrive lui stesso nel suo messaggio del 2 aprile 2011.

Però, se Padre Gino chiede alla Chiesa maternità ed accusa i cardinali di disamore, è stato allora anch'egli vittima di un imbroglio ?

Ecco il motivo che sottende alla petizione per la riabilitazione di Padre Gino Burresi : chiedere il perdono delle presunte vittime e del Papa ma anche smascherare gli intrallazzi dei cardinali a danno di Padre Gino Burresi.

Vorrei spiegare perché ho creato una nuova petizione per la riabilitazione di Padre Gino Burresi da parte di Papa Francesco.

Quella precedente rivolta a Papa Benedetto XVI, che ha raccolto 96 firme ( la 97^ è un doppione apposta per sbaglio), è stata disattivata, probabilmente dal sito che cura le petizioni e non accetta più firme.

Dato che qualcuno mi aveva chiesto se non fosse forse meglio crearne ua nuova per Papa Francesco, si è presentata per forza di cose l'opportunità di procedere in tal senso.

E dal momento che nessun altro mi ha preceduto da quando il Cardinal Bergoglio è stato eletto Papa (la paura della gente non ha limiti nè confini), ho deciso di fare io il passo, essendo d'altronde io ad avere ricevuto il testamento spirituale di Padre Gino Burresi.

Chi mi invidia sbaglia, perché Padre Gino ha scelto il peggiore come confidente.

Sta ora a voi confrontarvi con la vostra coscienza e decidere se apporre la vostra firma oppure no.

Avrete sicuramente delle perplessità sul testo della petizione e sul fatto che io abbia riportato per esteso il commento di Giò rivolto alla Chiesa in corrispondenza della prima firma, la mia. L'ho fatto, perché io sono il detentore del blog, su cui è pervenuto il commento di Gi(n)ò.

E' una richiesta di maternità ma al contempo la denuncia di una mancanza d'amore della Chiesa verso chi cade, in questo caso verso Padre Gino.

Comunque per tornare al titolo di questo articolo, stanotte ho sognato che svegliandomi questa mattina, nel giorno dell'Epifania, avevo trovato già nove firme sotto la nuova petizione, da me creata il 4 gennaio 2014.

Sarebbero stati i doni dei  Re Magi.

Ma vi ho trovato solo tonnellate di mirra per Padre Gino.

La mia, voce nel vento.

  

Riccardo Fontana

 

 
 
 
Jun 8, 2008 - Uploaded by dadoxx83

 

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5 gennaio 2014 7 05 /01 /gennaio /2014 11:51

 

 

 

Sunday 5 january 2014 7 05 /01 /Gen /2014 11:19

PADRE GINO BURRESI : ECCO, IL CARDINALE MI CHIAMA

 

 

 

 

Cari tutti quelli che avete la carità di leggermi ancora. Non è facile seguire uno che sembra pazzo ma che in fondo non lo è.

E' che poco fa ho sognato Padre Gino Burresi che diceva : "Ecco,  il cardinale mi chiama."

Sono andato a vedere su internet e la cosa che mi ha colpito è che veramente un cardinale aveva chiamato qualcuno per parlarci.

 

Ricordo che quando a San Vittorino chiesi a Fratel Gino Burresi se gli ero utile, lui mi rispose : "Perché no?, te lo dirò io quando." Ma io avevo fretta e non volevo aspettare...Si era allora negli anni '80.

Solo il 2 aprile 2011, quando ricevetti il commento di Gi(n)ò sul blog, solo allora capii che era arrivato il momento in cui Padre Gino Burresi aveva bisogno di me.

 

Adesso come adesso non vorrei fare il peccato che credevano di aver commesso quei ragazzi del racconto di Padre Emmanuel.

Leggete voi stessi il racconto qui sotto e capirete. 

 

 

Riccardo Fontana

 

 

 

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http://www.tracce.it/?id=302&id_n=27421

 

 

PADRE EMMANUEL

 

Il confessionale, il tram e il Cardinale

di padre Emmanuel Braghini

 

12/03/2012 - Frate cappuccino, è morto l'11 marzo a Milano. Dalle pagine di "Tracce", la testimonianza per i cinquant'anni di messa nel 2004 e l’incontro con don Giussani. «Sono qui per miracolo», diceva di sé. Il racconto di quell’inizio.

Era il 1954. A marzo avevo detto la mia prima messa da frate cappuccino. All’epoca era venuta una disposizione della Congregazione per cui bisognava fare un altro anno di Teologia. Poiché non ci stavamo più in piazza Velasquez a Milano, dove c’era la nostra facoltà, ci hanno mandato a Musocco, nel convento di fronte al cimitero Maggiore. Una mattina di settembre in convento c’ero io solo - tutti i miei compagni erano nel cimitero a cantare la messa - insieme al frate in portineria, il quale, a un certo punto, mi chiama: «C’è un prete da confessare». Gli ho risposto: «Noi “padrini” (i frati appena ordinati; ndr) non confessiamo i preti!». Lì per lì c’è stato un litigio col portinaio. Lui avrebbe potuto dire: «Va bene» (sapeva pure lui che non si mandano mai i frati giovani a confessare i preti… anche perché il prete ci rimane male), e invece mi ha detto: «Lo so, ma non c’è nessun altro». È venuto fuori un altro bisticcio. A quel punto mi ha ferito accusandomi di rifiutare un gesto di carità («Allora non vale la pena studiare tanto», ha commentato). Stava quasi per andarsene quando mi ha detto queste cose, allora gli ho risposto: «Va bene, vado a confessare il “tuo” prete».

Sul tram per Milano
Sono andato a confessare quel prete, senza neanche vederlo in faccia. Io provo tuttora imbarazzo a confessare - vorrei dire io i miei peccati -, sta di fatto che sono entrato nel confessionale, l'ho confessato e sono uscito. Non ci siamo neppure guardati in faccia. Lui, però deve avere afferrato nelle due parole che gli ho detto una qualche improvvisa sintonia. Uscito dal confessionale, vado in cella, prendo la mia borsa per andare in città, salgo sul tram e lì c'è un prete che mi fa: «Lei è sempre qui di convento?». Allora ho capito. «Son qui forse per un anno», gli rispondo. E lui ha cominciato a raccontarmi di un suo tentativo, perché si era accorto che il cristianesimo, quel Fatto, quella Presenza non esistevano più tra i ragazzi (di lì a pochi giorni avrebbe iniziato a fare Scuola di religione al liceo Berchet di Milano). Non ci siamo più lasciati.


Tutta la vita diventava bella
Da subito mi ha colpito la passione di don Giussani per il Mistero della Chiesa, per l’Incarnazione, che è sempre stato il fattore più incisivo. Ricordo quello che mi disse durante un viaggio in treno; stavamo andando a Brescia e lui si mise a picchiare sul vetro del finestrino dicendo: «Se uno non si misura, non si impegna, non si coinvolge con questo materiale, non può capirlo», e parlava del coinvolgimento con la realtà, col fatto del cristianesimo. Per lui il particolare è sempre stato importante, mai una cosa trascurabile. E questo per la percezione della presenza sacramentale, cioè sensibile, del Mistero. Quando terminava il raggio si rimettevano le cose a posto, le sedie in ordine; e poi don Giussani faceva raccogliere qualcosa per le missioni, sottolineava la puntualità. Durante le vacanze in montagna, dopo una certa ora girava per l’albergo, e non perché fosse apprensivo per i pericoli, ma per vedere se c’era silenzio. Per non parlare della messa. Non ne finiva una che non tornasse in sacrestia lamentandosi per i canti: che so, perché non avevamo tirato il fiato. Nella recita delle Ore, poi, sottolineava la pausa, l’andare insieme, perché - diceva - «se la preghiera non diventa anche un gesto bello, si finisce per rifiutarlo». E così diventava bella tutta la vita.


Montini intuiva
Tra i ricordi di quei primi anni ce n’è uno che mi porto dietro con commozione. Un giorno il cardinale Montini scrisse al mio convento per chiedere di vedermi. Quando lo incontrai mi domandò com’era la situazione di Gs. Non dimenticherò mai la risposta che gli diedi: «Guardi, Eminenza, lei sa che io sono l’unico che confesso i ragazzi; sa che cosa vengono ad accusare? Qualcosa che lei non ha mai sentito nella confessione di nessuno: chiedono perdono perché, per esempio, invece di andare a mangiare a un tavolo dove forse c’era una persona che aveva più bisogno, più triste, un po’ più sola, che non avevano ancora conosciuta, erano stati tentati di andare al tavolo con la persona con cui c’era più facilità di rapporto. Uno che si accusa di questo capisce che dovrebbe missionariamente andare a mangiare con quello o con quella, tanto che, non facendolo, lo riconosce come peccato…». Il Cardinale mi ascoltava e intuiva che sotto c’era qualcosa, era contento. Padre Giannantonio, un nostro frate cappuccino (tornato miracolosamente dai lager dell’ultima guerra, era confessore in lingue straniere in Duomo), aveva consigliato due suoi nipoti di venire in Gs e mi diceva: «Quando tutta la gente, che di solito va in un sacco di negozi, va tutta in un certo negozio, vuol dire che lì c’è qualcosa che vale di più». Anche il cardinale Montini aveva “fiutato” questo.

 

 
 
www.youtube.com/watch?v=WAt42s9zxuY
 
Oct 1, 2011 - Uploaded by Salvio Scotto
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5 gennaio 2014 7 05 /01 /gennaio /2014 06:11

 

 

 

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http://www.poetipoesia.info/racconti/dentro-si-muore/

 

   

  • Tra sogno e realtà, olio su tela, 80x60 - 2009
  • Il freddo dentro,

  

 

 

DENTRO SI MUORE

 

di Yvonne Pelizzari

 

 

Ho lasciato la casa rossa piangendo, l’ultima sera ho cenato a casa di Laura perché oramai l’appartamento era vuoto, mi era rimasta soltanto la chiave.
Sono entrata nella casa nuova piangendo e piangendo l’ho occupata, ma giorno dopo giorno ho cercato di renderla accogliente, ho piantato fiori sul balcone e un alberello di ulivo per ammirare una nuvola verde anche durante l’inverno.
Ho fatto tinteggiare le pareti del soggiorno di un bel color albicocca luminoso, non volevo intorno a me la sterilità del bianco e ho appeso quadri evocanti viaggi, ho messo morbidi cuscini sul divano per adagiare le mie fatiche e ho esposto su mobili e mensole cornici d’argento con le foto più significative per rivivere emozioni vissute.
Dalle ampie finestre il sole filtra incontrastato, ma non so come mai, anziché limitarsi a diffondere calore, fa risaltare il pulviscolo che inesorabilmente si posa ovunque condannandomi in una estenuante battaglia nel tentativo di eliminarlo. Ritorna sempre.
Ci sono alcune sere in cui il cielo si colora di rosso, un rosso così intenso che pare un grande incendio, ma chissà perché il tramonto da qui non è mai perfetto, c’è sempre qualche dissonanza che m’ impedisce di apprezzarne appieno la spettacolarità.
Attorno al palazzo vi sono spazi verdi sempre ben curati, ma da essi non traspare vivacità: sono giardini ornamentali e si possono ammirare, ma non calpestare e non sono mai invasi da bambini festosi che giocano. E’ vietato giocare in giardino.
L’ingresso principale architettonicamente elegante è costituito da un ampio atrio dal tetto semicircolare sorretto da quattro colonne e sulla parete rivolta all’esterno sono collocate le cassette per la posta. Le colonne sono rivestite da vigorosi tralci di floridi gelsomini che a maggio esplodono in una straordinaria fioritura, ma chissà per quale mistero, non emanano profumo.
Qui, occasionalmente ci si può incontrare con altri abitanti nel condominio, ma è stato consigliato di non soffermarsi a conversare: evitare capannelli rumorosi.
Attorno l’atrio ci sono piante di rose, i giardinieri le potano, le concimano, le disinfestano e l’efflorescenza è abbondante, ma i fiori hanno colori tenui, spenti.
Nulla hanno in comune con quelle belle rose rosso sangue, vellutate , emblema di passione.
Nelle aiuole sono stati piantumati degli alberi, vi è pure un giuggiolo, ma anch’essi sembrano privi di linfa vitale: crescono lenti, i tronchi stentano a irrobustirsi e quando il vento li accarezza si piegano e sembra si debbano spezzare da un momento all’altro.
Gelsomini che non emanano profumo, rose sbiadite , piante senza linfa: ma a ben pensarci perché dovrebbero essere diversi?
In fondo si tratta di piante ornamentali e quindi devono soltanto apparire e inoltre taluni, in preda alla frenesia della vita quotidiana oramai priva del buon tempo, neppure le nota.
E perché gli alberi dovrebbero avere rami rigogliosi a formare ombrelli lussureggianti se nessuno può godere della loro ombra?
A ben guardarci questo complesso residenziale moderno non rappresenta altro che un complesso residenziale moderno e impersonale come molti altri qui in città.
E nei dintorni non c’è mare, non c’è lago e neppure un rigagnolo d’acqua che possa evocare un torrente o un ruscello e le montagne sono pura illusione.
Adiacente il complesso c’è un parco attraversato da un lungo viale di pioppi svettanti intervallati da panchine sulle quali ogni tanto intravedo qualcuno seduto. La mia impressione, giusta o sbagliata che sia, mi ha persuasa che su quelle panchine si soffermano coloro che non hanno altro da fare se non osservare il trascorrere del tempo forse, senza accorgersi di quanto sia prezioso lui, il tempo.
In fondo al parco c’è anche un campo di pallacanestro, ma poche volte vedo ragazzi giocare.
I ragazzi d’oggi forse non apprezzano molto la luce del giorno e il calore del sole e preferiscono chiudersi dentro le loro stanze occupandosi di cellulari, videogiochi, social network e diavolerie varie di cui anche i genitori più evoluti non riescono ad avere il controllo.
La mia casa in città: indubbiamente è una bella casa moderna, tecnologicamente a norma, comoda e funzionale, si arriva nel box in auto, si parcheggia, si sale sull’ascensore che porta direttamente al pianerottolo dell’ appartamento. Raramente incontro qualcuno e se piove non serve l’ombrello.
“Complesso residenziale con rifiniture signorili” questo riportava il cartello esposto in cantiere in fase di costruzione: le rifiniture signorili prevedevano che ogni appartamento fosse dotato di porta blindata e quelli ubicati al primo piano avessero cancelletti di sicurezza alle finestre.
Ciò per permettere che ognuno potesse chiudersi tranquillamente “dentro”.
Alcuni “dentro” sessanta metri quadri, altri “dentro” spazi più ampi, ma tutti rigorosamente “dentro”.
Qui la buona educazione vuole che ognuno debba badare ai fatti propri mentre “dentro” ognuno è libero di vivere i propri affanni, le proprie tribolazioni, angosce e solitudini.
Fuori, oltre la porta blindata, possono trapelare solo alcuni eventi come una nascita annunciata con l’esposizione di vistosi nastri azzurri o rosa, un matrimonio poiché la sposa abitualmente si esibisce e infine i funerali. Del resto i morti non si possono tenere “dentro” e se ne dà notizia con paramenti a lutto sul cancello dell’entrata principale.
Quasi sempre anche le condoglianze stanno “fuori”, scritte su un solitario quadernetto abbandonato su un tavolino all’ingresso dell’abitazione del defunto.
Questa usanza la trovo alquanto inconsistente poiché io sono cresciuta in un paese di campagna e mi hanno insegnato che la partecipazione al lutto deve prevedere una visita fatta di persona ai famigliari dell’estinto. Ma forse il dolore della città è diverso dal dolore del paese e perciò l’uno si esprime “dentro” e l’altro “fuori”.
In città quasi tutto rimane dentro, dentro le quattro mura e stasera qui nel mio “dentro”, nella mia casa senza storia, non rido, ma penso.
Inspiegabilmente affiorano ricordi, confidenze , racconti seppelliti e mi abbandono a un tripudio di sensazioni senza nome. Penso a donne incontrate, conosciute, ascoltate, ma soprattutto penso a donne morte dentro, dentro le loro case, anche se fuori, per le strade del mondo stanno camminando o forse correndo con le labbra atteggiate al sorriso.
Lei, l’ho ritrovata dopo anni che l’avevo persa di vista. Anni di silenzio interrotto da una sua richiesta telefonica d’ aiuto di cui avevo dubitato l’autenticità e poi ancora silenzio assoluto. Nonostante ci fosse stato un tempo in cui avevamo condiviso esperienze importanti di adolescenza, di gioventù, successivamente la vita ci aveva allontanate fino a farci divenire quasi estranee. Lei si era sposata e si era trasferita lontano e io mi ero convinta che non sarebbe mai più ritornata alla casa natale. Ma mi sbagliavo, improvvisamente facendosi precedere da una breve telefonata era tornata e io me l’ero trovata davanti o meglio, le ero andata incontro. Un abbraccio dentro un silenzio quasi solenne e una prorompente emozione: ci eravamo ritrovate. I legami fra anime affini sono inscindibili, più forti di qualsiasi altro legame.
La ricordavo bene quell’amica d’infanzia: briosa, ingegnosa, bella che senza impegnarsi attirava naturalmente gli sguardi dei ragazzi e dotata di intelligenza sagace tanto che nonostante i genitori non l’avevano avviata agli studi, autonomamente aveva imparato un paio di lingue straniere.
Ora, fra le mia braccia uno scricciolo di donna col capo coperto da una specie di bandana e addosso una camicia in flanella a maniche lunghe dal taglio maschile, non adatta al caldo estivo e troppo ampia per il suo esile fisico .
Ma l’abbigliamento non sarebbe stato nulla se i suoi occhi avessero sorriso, invece dal volto traspariva una sofferenza così greve che non lasciava spazio a eventuali domande.
Una piccola donna gravata da un fardello visibilmente troppo pesante e forse senza più lacrime per piangere.
Un donna forse in cerca di silenzio, di solitudine o vicinanze mute o forse alla ricerca di una forza perduta o forse soltanto sopita dentro la sua anima. Chissà!
Erano trascorsi alcuni giorni dal suo ritorno, ci si incontrava, conversazioni brevi, io la osservavo e soffocavo ogni domanda nonostante incalzasse il desiderio di conoscere la causa di quella evidente sofferenza. Ero certa che lei sentiva la mia vicinanza perché le anime affini che si ritrovano, si sfiorano e si comprendono anche senza parlare.
Finché inaspettatamente un pomeriggio seduta sul balcone, con parole forti e fiumi di lacrime il dolore aveva preso forma, aveva avuto un nome chiaro, preciso, definitivo.
E i segni sui suoi polsi lo avevano reso indelebile: quei segni che nascondeva sotto le maniche della pesante camicia dal taglio mschile.
E io lì basita, incredula a guardare quei braccialetti del dolore, a rievocare due giovani innamorati che percorrevano abbracciati la strada limitrofa la casa della mia storia, a ricordare la potenza di quell’amore che la indusse ad abbandonare tutto per volare lontano, nella terra di lui.
Quel pomeriggio di confidenza è oramai lontano, ma vive le cicatrici su quelle braccia sottili e il cuore mi fa male, nell’impotenza mi monta una sterile rabbia al pensiero che tutto è successo dentro, dentro una casa, la casa che sempre, ovunque dovrebbe essere rifugio, protezione e sicurezza.
Altre scene si susseguono sullo schermo immaginario come fosse il secondo tempo del medesimo film con protagonisti diversi: un ufficio chiassoso con giovani donne, quasi tutte impegnate a vivere la stagione dell’amore, fra le quali c’ero io e c’era lei.
Si rideva assai, la forza e la leggiadria della giovinezza trovavano in ogni pretesto occasione di divertimento. Si parlava di amori possibili, impossibili, di fidanzati, di mariti.
Lei, giovane donna come noi, era già moglie, già mamma, già tradita, già oltraggiata.
Si era innamorata giovanissima, era rimasta incinta e in quegli anni una gravidanza indesiderata richiedeva quasi obbligatoriamente un matrimonio riparatore e lei si era sposata. Ora aveva due figli, un aborto forse non del tutto spontaneo e raccontava che lui da sempre era molto geloso, troppo.
Pretendeva di sapere tutto di lei e delle persone che frequentava nell’ambiente di lavoro e ogni qualvolta era impossibilitata a rispondere al telefono, lui diveniva sospettoso, a casa la interrogava e rilasciava illazioni come se negli uffici fra una pratica e una pausa caffè, ci si potesse scatenare in orge di sesso sfrenato. Esigeva molto, sempre, quasi ossessivamente e anche le sere in cui lei era stanca, la loro intimità non doveva subire interruzioni.
Noi ironizzavamo, scherzavamo. Lei non sempre rideva, finché un giorno arrivò in ufficio piangendo.
La notte in cui i figli erano in vacanza e lei sarebbe dovuta rimanere sola col marito, lui aveva avuto l’idea di farle una sorpresa e si era presentato dentro la loro casa in compagnia di un’altra donna da ospitare nel loro stesso letto. Per una notte, un letto a tre . Lei si era rifiutata e aveva pianto, lui non aveva desistito, lei aveva urlato, ma nessuno l’aveva sentita o se qualcuno aveva udito aveva badato ai fatti propri.
La violenza non è solo quella comprovata dai lividi, ne esiste un’altra subdola, ancora peggiore che sfregia l’anima e che si consuma dentro le case, le proprie case, spesso nella completa indifferenza di vicini o conoscenti perché ognuno sta rinchiuso nel proprio “ dentro”.
Paradossalmente sono proprio le mura domestiche, quelle mura per le quali spesso siamo disposti a sacrifici indicibili pur di possedere, che nascondono, autoalimentano vizi e difetti spregevoli.
Forse la salvezza sta nell’ uscire fuori, nel non rimanere chiusi dentro e forse in molti casi è preferibile pensare anche ai fatti altrui, a fare capannelli .
E’ indispensabile riscoprire il valore della solidarietà.

 

Yvonne Pelizzari

 

 
 
 
 
Aug 24, 2009 - Uploaded by Merkury86
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5 gennaio 2014 7 05 /01 /gennaio /2014 05:56
 

 

http://gcgalli.wordpress.com/2013/06/20/improvvisi-da-dove-scrivo/

 

 

Poesia, esci dalla camera e vai in piazza

     

 

 

Improvvisi: Da dove scrivo

 

  

(inizio dei bombardamenti americani in Iraq, 19 marzo 2003)

 

  

  

Scriverei dalla riva del mare
con le coperte distese sulla sabbia
le camicie sparpagliate
forse una luce e una tavola di legno
per appoggiare i fogli
e una pinza, magari, per fermarli
quando il vento si alza e viene sera.

Scriverei dal giardino chiassoso
davanti agli Istituti Biologici
fra gli studenti che passano, in un bagno di sole:
là c’è un tavolo di noce a cui mi siedo
e scrivo le mie lettere, fino a quando una voce
argentina mi chiama: “Ciao Giorgio!”
Da su ai palazzi con lo sguardo mi proteggono
le porte delle case dei miei amici.

Ma son qui e scrivo una breve poesia
da questi libri sfogliati senza voglia
da questo letto da riordinare
da questa giacca nuova di velluto
da queste foto dell’anno scorso messe a caso
sulla scrivania.

Dalle strade qui sotto i frastuoni di una festa
molto lontano una guerra che inizia.
Anche la notte si è messa in attesa,
limpida come un torrente
e come il mare profonda.

Torna dalla notte la mia amica Lida
con il secchio dei panni lavati:
appare dietro i vetri di una porta
anche lei si domanda
cosa dobbiamo pensare.

 

Giorgio Galli

 

   

 
 
 
 
Nov 27, 2007 - Uploaded by Fabio Tursi

 

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4 gennaio 2014 6 04 /01 /gennaio /2014 09:11

 

 

 

 

Comunicazione importante

concernente Padre Gino Burresi :

 

Il giorno 4 gennaio 2014 ho creato una nuova petizione per la riabilitazione di Padre Gino Burresi da parte di Papa Francesco.

Quanti volessero aderire sono pregati di andare su :

 

 

http://nelsegnodizarri.over-blog.org/article-petizione-padre-gino-burresi-ricomincio-da-zero-121892164.html

 

 o su :

 

 http://nelsegnodipadreginosantuariodimontignoso.over-blog.it/article-petizione-padre-gino-burresi-ricomincio-da-zero-121892184.html  

 

 

Grazie.  

 

Riccardo Sante Maria Fontana

4 gennaio 2014

 

 

 

Zucchero - E' Delicato - YouTube

 
 
 
www.youtube.com/watch?v=anW2fRbSoHw
 
Apr 6, 2011 - Uploaded by ZuccheroVEVO
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4 gennaio 2014 6 04 /01 /gennaio /2014 06:20

 

   

 

 

Visualizza i firmatari | FIRMA questa Petizione

 

 

 

http://www.poesieracconti.it/poesie/opera-70817

 

 

 

 

 

 

 Martiri

 

 

Non sono finiti i tempi di Nerone...
la carne cristiana straziata dai leoni
ancora oggi grida la sua vendetta,
nemmeno oggi amare Dio è un diritto.
O, santi martiri, sangue degli innocenti,
mi duole il cuore dalle notizie recenti...
piango per voi, che avete pregato per la pace
e siete morti per la crudeltà delle mani feroci.
Quanto ancora dobbiamo aspettare
la tua gloria, Gesù, che verso il cielo sale.
Vieni a prenderci, Signore, di noi abbi pietà...
Vieni, Signore Gesù, Maranathà.

 

Tania  Rybak

 

 

 
 
www.youtube.com/watch?v=Jj2TwJcIyE8
Oct 23, 2013 - Uploaded by laquilone1
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Presentazione

  • : RIABILITAZIONE POST MORTEM DI PADRE GINO BURRESI
  • : Riabilitazione post mortem di Padre Gino Burresi Firma la Petizione https://petizionepubblica.it/pview.aspx?pi=IT85976 Giò 04/02/2011 14:27 "Sono dentro, donna o uomo che vive li nel seno di questa chiesa. Da me amata, desiderata e capita... Sono dentro. Mi manca aria, Aspetto l'alba, Vedo tramonto. La chiesa dei cardinali madri per gioielli, matrigne per l'amore. Ho inciampato e la chiesa non mi sta raccogliendo. Solitudine a me dona, a lei che avevo chiesto Maternità. E l'anima mia, Povera, Riconosce lo sbaglio di aver scelto il dentro e, Vorrei uscire ma dentro dovrò stare, per la madre che non accetta, Il bene del vero che ho scoperto per l'anima mia. Chiesa, Antica e poco nuova, Barca in alto mare, Getta le reti Su chi ti chiede maternità. Madre o matrigna, per me oggi barca in alto mare che teme solo di Affondare! Matrigna." Commento n°1 inviato da Giò il 2/04/2011 alle 14h27sul post: http://nelsegnodizarri.over-blog.org/article-la-chiesa-di-oggi-ci-e-madre-o-matrigna-67251291
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